Ago Leonetti
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Ago e il suo Paradiso
Ambientazione - Pontito

Pontito

Sperduto tra le creste di montagne ancora quasi selvagge, Pontito è l'estremo paese della Svizzera Pesciatina.

Si tratta di un antichissimo castello che erge le sue vecchie case di pietra in una solitudine ed in un isolamento quasi totali, arroccato sulla cima di un alto colle, (mt. 749 s.l.m.) situato appunto nel lembo più settentrionale di questa zona. Il paesaggio che lo circonda non è dissimile da quello che un po' tutta la Svizzera Pesciatina offre ai suoi visitatori, ma la sua posizione appartata e la sua lontananza dai più grossi centri abitati generano in chi vi si avvicina la sensazione di un luogo ombroso, ripiegato su se stesso, che, consapevole della sua rara bellezza, è tutto teso a resistere in una situazione di sdegnoso isolamento.

Oggi una moderna strada conduce al paese, ma fino ad un'epoca abbastanza recente solo una tortuosa mulattiera costituiva il mezzo di collegamento tra esso ed il pesciatino. Chi percorre questa strada è colpito immediatamente da due cose: la completa assenza di qualsiasi costruzione al di fuori del borgo, che si staglia nettamente definito nei suoi confini in mezzo alla ininterrotta vegetazione circostante, e la sua particolare forma, così caratteristica da farne un esempio quasi unico, certamente non casuale, nel ricco panorama di paesi medioevali che la provincia di Pistoia offre. Istantanea è anche la percezione che Pontito è completamente tagliato fuori dai circuiti del grande turismo, e che la sua situazione è ben diversa da quella di tanti altri paesi che il flusso dei visitatori ha radicalmente modificati e stravolti. Qui, ai lati della strada, scorre incontaminato un paesaggio verdissimo di fitti boschi di castagni, intervallati qua e là da pochi filari di viti e qualche olivo. Si tratta di un paesaggio splendido e solitario, la cui secolare armonia non è interrotta neppure da una singola solitaria costruzione, né tanto meno turbata da alcuna presenza umana. Fra Stiappa e Pontito, infatti, non s'incontra anima viva, così come assolutamente solitario è anche l'arrivo da Lanciole, se si segue l'altro percorso possibile. Questa solitudine nei rapporti con il paesaggio circostante ci dà la misura dell'isolamento del paese, della sua decadenza dal punto di vista economico e produttivo, e del conseguente esodo dei suoi abitanti, che ormai da moltissimi anni prosegue, lentamente ma costantemente. L'isolamento del resto rende la vita difficile anche ai pochi rimasti, che si vedono privati di tutta una serie di servizi oggi considerati essenziali, e che si sentono soprattutto in uno stato di abbandono rispetto a coloro che vivono nei centri della pianura o comunque più vicino a Pescia.

Però, dal punto di vista della conservazione dell'antico paese, è stato proprio questo isolamento a produrre il miracoloso risultato di far giungere fino a noi un borgo medioevale intatto fino nei minimi particolari, completamente costruito in pietra, senza una casa ridipinta, un mattone sostituito, un edificio che non abbia perlomeno qualche secolo di vita. E' giunto così fino a noi un patrimonio ricchissimo di arredi vari (architravi, tabernacoli, pietre incise) risalente ad un arco temporale che va dai secoli più remoti fino al sette-ottocento. Pontito è inoltre un paese che non conosce il fenomeno della degradazione delle sue propaggini estreme e delle sue vicinanze, ed ancora oggi ha così poco di moderno da ispirare addirittura un senso di inquietudine e di insicurezza.

Caratteristica e famosa è la sua forma urbana, ricavata in conformità alle caratteristiche della collina su cui è sorto. E' la forma di un grande ventaglio rovesciato, la cui parte inferiore si distende allargandosi progressivamente verso le pendici del colle, mentre la superiore si restringe gradatamente, seguendo l'elevarsi del pendio, verso il luogo più eminente, dove è posta l'antica chiesa dedicata ai SS. Andrea e Lucia. Straordinaria è la regolarità della sua forma, la sua geometricità rigorosa, e la nettezza dei suoi contorni: le case si interrompono bruscamente lungo un'immaginaria linea retta che discende dall'alto della chiesa, ed appaiono perfettamente allineate ad una visione laterale. Appena superata questa linea ideale il quieto verde delle colline circostanti riprende il suo assoluto predominio, senza recare in se più alcuna traccia della presenza di un nucleo abitato a pochi passi.

Altrettanto straordinario è il fatto che, di questo ventaglio, pare di poter intuire perfino le pieghe: esse sembrano, infatti, finemente disegnate dai piccoli vicoli discendenti, che si intuiscono allineati in un reticolo di intersezioni e di parallelismi accuratamente studiati, e che paiono farsi più fitti in corrispondenza delle sue estremità. In alto, invece, la chiesa con la sua massiccia torre campanaria, pare costituire l'indispensabile manico di questo ventaglio.

Venendo da Pescia, in macchina, vi sono ben tre percorsi che consentono di giungere a Pontito: addentrandosi nella "Svizzera Pesciatina", una volta giunti a Pietrabuona, si può prendere a sinistra e, oltrepassati Aramo e San Quirico, arrivare a Stiappa e da qui a Pontito; altrimenti, da Pietrabuona, si può prendere a destra seguendo il corso della Pescia di Pescia, si oltrepassano il Ponte di Sorana ed il Ponte di Castelvecchio, e ci si ricongiunge, poco dopo Castelvecchio, con la strada che porta a Stiappa (si tratta di un percorso simile al precedente, a cui è comune per due terzi, e di cui ha più o meno la stessa lunghezza); oppure ancora, dopo aver seguito questo secondo percorso fino al Ponte di Sorana, si può girare a destra in direzione opposta a Castelvecchio, imboccando la strada per Lanciole. In quest'ultimo caso dopo qualche chilometro ci lasciamo alle spalle il luogo dove un tempo sorgeva il castello di Lignana, sfioriamo il confine del territorio comunale di Marliana, a poca distanza dalla Serra, e ci inoltriamo poi, per un breve tratto, nel territorio del comune di Piteglio, cui appartiene anche Lanciole, per rientrare poi di nuovo in quello di Pescia e giungere quindi a Pontito.

Sono tutti percorsi che, addentrandosi nel profondo della "Svizzera Pesciatina", danno modo di coglierne i caratteri paesaggistici più interessanti, apprezzabili sempre meglio man mano che ci si allontana da Pescia.

Venendo invece dall'Abetone, si può passare per Piteglio e Lanciole, oppure evitare questo percorso per arrivare invece a Lucchio, da dove una strada malagevole e dissestata conduce a Croce a Veglia, a pochissima distanza da Pontito, in una località proprio sopra il paese, dove anticamente esisteva un "Ospitale" (dove i pellegrini e i viandanti del tempo potevano rifocillarsi ed avere ricovero). Una volta giunti a Pontito, una semplice passeggiatina per le sue viuzze interne, consente di apprezzarne immediatamente il tessuto urbano. In qualsiasi direzione ci si muova, ci si troverà a salire e scendere continuamente, in un dedalo intricatissimo di viuzze ripide e strette, passando spesso sotto volte suggestive, completamente avvolti dalla compatta cortina delle sue vecchie case di pietra, che si elevano addossate le une alle altre. La forma e la struttura interna del borgo sono quelle tipiche degli insediamenti medioevali, caratterizzati dalla vocazione dall'arroccamento ed alla difesa, e costruiti quindi solitamente sulla vetta di un colle, con la rocca posta alla sommità, in posizione dominante per poter meglio respingere gli attacchi esterni. Nel caso di Pontito però, a differenza di molti altri luoghi anche vicini (come ad esempio Vellano), anche la chiesa è inclusa dentro il perimetro delle mura, all'interno del sistema difensivo del castello.

Passeggiare per il paese è estremamente interessante anche perché dà modo di verificare la notevole differenza che passa tra il paese visto dall'esterno ed il paese vissuto dall'interno; ciò che da fuori appare rigorosamente squadrato, geometrico, definito nei suoi contorni, all'interno si frantuma in un intrigo di linee irregolari, di pendenze improvvise, di asimmetrie. Una è l'immagine che Pontito dà di se dall'esterno, splendida, altera, immobile; altra è invece la ricchezza dell'interno, dove le esigenze della vita di tutti i giorni e l'irregolarità dei terreno hanno contribuito a creare un ambiente in cui ogni casa si adatta perfettamente alla porzione di suolo che occupa, in una felicità di soluzioni architettoniche dei tutto istintiva, fondata sul buonsenso e su di una percezione ormai perduta dell'armonia tra edifici e paesaggio. In questo sereno inserimento del centro urbano nell'ambiente circostante, un ruolo importante lo gioca anche l'assoluto predominio che ha la pietra tra i materiali con cui Pontito è costruito, il che conferisce al paese un caratteristico ed ininterrotto colore grigio scuro. Infine va notato che non sono certamente molti i paesi che possono vantare un analogo stato di conservazione, senza sostituzioni edilizie, senza edifici nuovi nei dintorni, con le case generalmente in buone condizioni; uno stato di conservazione che sicuramente va a titolo di merito dei proprietari delle case e dei loro abitanti.

Eppure, nonostante la sua indiscussa bellezza, Pontito è un paese che rischia di morire, e non si vede come sia possibile arrestare e capovolgere quella tendenza ad andarsene dal paese che continua, lenta ma ininterrotta, da tempo immemorabile.

Il problema di base è, come in tanti altri casi simili, quello di creare delle attività economiche che non rendano una necessità l'emigrazione; infatti, dopo il tramonto dell'agricoltura, che qui era un'agricoltura povera, ai limiti della sussistenza, ed in cui non era possibile per la natura dei terreni introdurre delle innovazioni tecnologiche e colturali, non c'è più stata alcuna possibilità di riutilizzare in loco la manodopera che man mano restava libera. Inoltre la posizione di Pontito, così lontano da Pescia ed anche da tutti quei centri che avrebbero potuto assorbire del personale, ha reso estremamente problematico anche il pendolarismo, contribuendo così alla fuga dei suoi abitanti verso i centri della pianura o addirittura verso l'estero.

Del resto si può quasi dire che oggi questo problema si è già risolto da se, anche se nella maniera più triste, perchè la popolazione di Pontito è ormai composta per la maggior parte da persone anziane, con un indice di natalità praticamente ridotto a zero. Non si vede quindi come sarebbe possibile restituire una vitalità al paese, anche se esso, per bellezza e motivi di interesse, supera di gran lunga tanti popolosi centri della pianura; e si deve purtroppo pensare che questo gioiello sia destinato, prima o poi, a diventare deserto.

La bellezza di Pontito è la risultante di vicende più che millenarie, ed infatti solo un centro molto antico e carico di storia potrebbe esercitare una suggestione simile a quella che esso esercita anche sul visitatore più distratto.

Secondo la tradizione, il nome andrebbe ricondotto ad un ponte edificato qui nientemeno che da Tito Augusto; tradizione popolare che qualche scrittore ha cercato di avvalorare, senza peraltro portare argomenti molto convincenti a sostegno di questa tesi (se non quello di un percorso alternativo all'Aurelia per raggiungere la Liguria, una specie di "scorciatoia" che le truppe romane "leggere" avrebbero utilizzato in determinate circostanze). Sebbene infatti il paese sia indubbiamente molto antico, pare francamente imprudente ed arbitrario datarne l'origine addirittura ad epoca romana, senza altro argomento a favore di questa tesi che quello di una supposizione sull'origine del toponimo. Supposizione tra l'altro molto incerta, perché il nome potrebbe anche essere ricondotto, e probabilmente con molto più fondamento, (ma senza l'assoluta certezza), all'antica chiesa del paese, che sembrerebbe intitolata appunto a San Potito, forse a quel tempo patrono del paese. Una terza ipotesi infine, vorrebbe far derivare il nome dalla caratteristica forma "a punta" del borgo, definito "appuntito" (aguzzo, fatto o terminante a punta) trasformatosi poi nell'attuale Pontito. Con ogni probabilità comunque, le origini del paese sono altomedievali, e fanno di esso uno dei centri più antichi della zona.

Sicuramente nel 910 Pontito esisteva già, e da un certo tempo, visto che appunto in quell'anno la chiesa di San Potito è ricordata come dipendente dal piviere di San Martino a Vellano, in una carta dell'Archivio Arcivescovile Lucchese recante la data del 1° Luglio.

Comunque la notevole antichità del paese non può certamente stupire chi anche solo si soffermi ad osservare la sua posizione geografica, strategica ed al tempo stesso naturalmente munitissima. Pontito infatti è uno dei castelli più elevati di tutta la montagna pesciatina, sorgendo a circa 750 metri di altezza, posto al confine della vallata in una zona riparata. Esso fu eretto sulla sommità di un colle nelle vicinanze di un braccio della Pescia maggiore, in un punto naturalmente protetto su tutti i lati, e particolarmente dai monti del Battifolle ad ovest, e dall'altura di Croce a Veglia a nord.

La sua posizione riparata tuttavia non gli impedì di essere al centro, nel Medioevo, di violentissime vicende guerresche, come del resto accadde anche a tutti i castelli vicini; ed il paese dovette subire anche più di un assedio proprio perchè si trovava in una zona di confine, posto com'era all'estremo lembo orientale del dominio lucchese.

Intorno al Mille, la piccola città ci appare infeudata, con un atto che reca la data dei 998, a Giovanni e Pietro, Signori di Maona e di Castiglione, da parte dei Vescovi di Lucca; e l'appartenenza di Pontito al dominio lucchese risultò confermata sia dopo la morte di Federico II, quando la Valleriana tornò sotto la giurisdizione del Comune di Lucca e Pontito fu compreso nella vicaria di Villa Basilica, sia dopo che l'intera Valdinievole passò sotto il dominio fiorentino, formando un distretto in gran parte isolato, interposto fra il territorio pistoiese e quello pesciatino. L'appartenenza al dominio lucchese tuttavia non fu fonte di vita tranquilla ed operosa per Pontito; infatti i frequentissimi litigi, spesso sanguinosi, che coinvolgevano il paese erano dovuti in massima parte a questioni di confini, dato che questi non erano fissati in modo sicuro, ma venivano stabiliti alla meglio di volta in volta, dando così vita ad una continua altalena di guerricciole e di effimere paci. Inoltre per il Vicario di Villa Basilica era estremamente problematico controllare efficacemente una zona che, visto lo stato delle comunicazioni di allora, era piuttosto lontana; al punto che vennero talvolta inviati a Pontito, probabilmente nei momenti di maggiore tensione, degli ufficiali particolari ed anche qualche armigero, per guardare la rocca. Una deliberazione del 1377 presa dal Consiglio Generale di Lucca, ad esempio, disponeva per la conservazione del luogo l'invio di un podestà (al posto del castellano) che nella notte dormisse nel recinto della rocca e tenesse le chiavi della terra. Secoli dopo, (provvigione del luglio 1540) fu inviato a Pontito un ufficiale col nome di commissario, investito pare, a differenza dei podestà di due secoli prima, anche del compito di esercitare l'autorità giudiziaria nel paese.

Di fronte ad una storia così fittamente costellata di episodi di guerra e di violenza ci limiteremo quindi soltanto ad accennare ai più importanti dei fatti che videro coinvolto Pontito. Così nella guerra fra Pistoia e Lucca divampata all'inizio del 1230, il paese fu occupato, insieme a Lucchio, Stiappa ed a diversi altri paesi, dalle milizie pistoiesi, provocando la reazione di Federico II e del suo vicario di stanza a San Miniato. Ancora, alla fine del secolo Pontito fu impegnato in una sanguinosa guerra con Lanciole, che venne assaltato, con i Lanciolesi costretti a ripiegare fin dentro le mura del loro castello; era una delle tante piccole faide, originate probabilmente da futili motivi, che si verificavano spesso a quei tempi, ma durò per più di due anni, fino al 1295. Alla fine del secolo successivo (1381) si ebbe una nuova guerra, alla quale presero parte anche diversi castelli della Lucchesia e quelli pistoiesi di Cutigliano, Lizzano e Popiglio; guerra conclusa da un armistizio solo due anni dopo. Poi si ebbe la dominazione di Francesco Sforza, che espugnò Pontito nel XV secolo e fu al centro di un episodio celebre, avvenuto proprio nella rocca ora diruta del paese. Lo riportiamo con le parole di un vecchio testo:

"Non si tosto il conte Francesco si rese padrone del castello, che datosi a frugare ogni più recondito angolo della rocca, gli capitò alle mani con sua gran sorpresa una giovinetta di egregie forme, la quale non è a dire se paventasse di trovarsi sola al cospetto di uno sconosciuto soldato. Costei, rossa in volto di verginal pudore, scongiurava quel valoroso non volesse toglierle l'onore, senza di che nulla di pregio rimane in una fanciulla; e di ciò lo supplicava a calde lacrime a nome eziandio del suo fidanzato che diceva trovarsi prigioniero presso le sue genti. Lo Sforza, che era generoso cavaliere, si guardò bene dal torcerle un capello, nonché farle oltraggio, e postala al sicuro dalla licenza soldatesca la regalò di ricchi presenti, e la rese al suo sposo cui aveva in grazia di lei restituita la libertà. Di tal guisa operò il temuto capitano, nel quale non è a dire se più spiccasse il valore o la generosità, chè certo queste virtù furono in lui grandissime, massime se si abbia riguardo a quei tempi nei quali, coi venir meno della libertà, cadeva in basso la pubblica morale". L'episodio divenne presto famoso, e ne cantarono i poeti del tempo.

Nei secoli successivi si verificarono ancora vari scontri e qualche piccola guerra, particolarmente con Lanciole, oltre ad un tentativo fallito, nel XVII secolo, di tradire la rocca da parte del commissario Lamberto Lamberti.

Poi, su Pontito, calò il silenzio; un silenzio che venne interrotto solo fra il Sette e l'Ottocento, quando a far conoscere il paese non fu più un episodio guerresco, ma un uomo che conquistò la fama con opere di pace: Lazzaro Papi.

Di gran lunga l'uomo più celebre che sia nato a Pontito, il letterato e medico Lazzaro Papi ha oscurato il ricordo di tutti gli altri suoi conterranei assurti all'onore delle cronache: un Peghimello, capo di parte ghibellina ricordato dal Sercambi, un Agostino di Pontito versato nelle lettere, un Annibale pittore del XVII secolo.

Appartenente ad una famiglia di agricoltori di Pontito, (Dall'archivio della Parrocchia di Pontito si rileva l'atto di Battesimo, redatto sei giorni dopo la nascita: "A dì 29 Ottobre 1763. Lazzaro, figlio di Alberto Papi e di Fiorè di Simone di Pio, divenuta sua legittima moglie, fu battezzato il sopradetto giorno ed anno dal Parroco Sig. Giacomo Vanny di Brandeglio ecc…" - l'ipotesi che i suoi antenati discendessero da un Jacobus Pape che era stato nel XIII secolo Podestà di Volterra non è certamente fondata), dimostrò ben presto un notevole ingegno e, nella speranza che intraprendesse la carriera ecclesiastica, fu avviato al seminario di San Martino, a Lucca, dove imparò molto bene il greco ed il latino. Però il giovane Papi ben presto si dimostrò di diverso avviso decidendo di non farsi prete e fuggendo a Napoli, dove si arruolò ed acquistò i primi rudimenti clinici ed anatomici.

Tornato a Lucca, nel 1785, si diplomò in chirurgia e successivamente, a Pisa, in clinica ed ostetricia, ma la morte della giovane moglie lo indusse, probabilmente per un disperato bisogno di cancellarne il ricordo, a gettarsi in quella che per quei tempi era una delle avventure più pazze, un viaggio nelle Indie Orientali, che lo terrà lontano dall'Italia per ben nove anni, arruolandosi come medico di bordo sul "Ferdinando III di Toscana".

Il viaggio in realtà, tra andata e ritorno, avrebbe dovuto concludersi nel giro di soli otto mesi, ma invece ne occorsero ben quattordici solo per raggiungere Calcutta. In India, passando attraverso le più strane peripezie, si trattenne a lungo avendo così modo di studiare a fondo tutti gli aspetti di quella civiltà. Il risultato di queste sue esperienze lo condensò poi in ventisette "LETTERE SULLE INDIE ORIENTALI", (Pisa 1802) in cui riportava anche non poche critiche nei confronti dei colonizzatori inglesi.

Tornato in patria nel 1801, vi fu accolto con grandi onori ricoprendo, fino praticamente alla morte, che avvenne nel 1834, tutta una serie di importanti incarichi pubblici. (Sia sotto il governo napoleonico, sia sotto il governo provvisorio lucchese, nonché sotto i Borboni). La sua attività di letterato però non ebbe mai soste, nonostante gli impegni pubblici, ed egli scrisse così numerose opere, tra le quali: "I COMMENTARI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE" (Lucca 1830 - 1836) premiata dall'Accademia della Crusca nel 1835, e la traduzione del "PARADISO PERDUTO" di Milton (Lucca 1811); in essa Lazzaro Papi si dimostra, oltre che perfetto conoscitore della lingua inglese, poeta di assoluto valore; la sua traduzione è a tutt'oggi la più valida esistente, anche se qua e là il suo valore è in parte sminuito da alcune eccessive libertà, rispetto all'originale, e da qualche taglio oggi non più accettabile.

La morte lo colse a Lucca, (la notte di natale del 1834) dove è sepolto nella Basilica di San Frediano.

Scrittore, traduttore, avventuriero, viaggiatore, soldato, medico e chirurgo, Lazzaro Papi è dunque la grande gloria di Pontito, ma non è certamente il solo motivo di interesse che presenti una visita all'antico castello, che anzi molte sono le cose da vedere e da ammirare in esso. Anzitutto vanno segnalati i numerosissimi arredi viari sparsi un po' per tutto il paese, di cui alcuni addirittura quattrocenteschi, come ad esempio un'architrave scolpita in arenaria e raffigurante in altorilievo un'aquila ad ali spiegate e con la testa coronata, che si trova in Via delle Casacce al 55, o come un'altra architrave, datata 1474, che si trova in Via L. Papi 85-87, e che reca dei motivi decorativi floreali. Vi sono poi molti stemmi gentilizi di antiche famiglie del luogo (famiglie in buona parte oggi non più identificabili) che adornarono le loro case scolpendovi sulle mura appunto i propri stemmi gentilizi, e vari tabernacoli arricchiti da sculture, di cui particolarmente interessante uno che contiene una Madonna col Bambino, di aspetto molto antico. Quasi ogni pietra del paese, insomma, è incisa, ciò che dà anche al semplice lastricato il senso di una bellezza tutta particolare, oltre che essere eloquente testimonianza di una innata abilità popolare nello scolpire la pietra. Un motivo decorativo tipico, ad esempio, è quello composto da un elemento circolare in cui è inserita una margherita di cui è visibile un solo petalo, con a lato un nodo di corda intrecciata ricavato in bassorilievo; una simbologia che risale al XV secolo e che si trova scolpita un po' dappertutto nel paese, perfino sulle lastre della pavimentazione stradale. Belle sono anche delle fontane pubbliche, scolpite nell'arenaria, che risalgono al XVIII-XIX secolo. Esse sono ricavate da enormi blocchi di pietra, e si compongono di grosse vasche monolitiche scavate con lo scalpello; si tratta di opere da attribuire allo stile neoclassico caratteristico della fine dei Settecento, ma collocabili, secondo la tradizione orale, nel secolo successivo. Per trovarle basta percorrere la strada che fiancheggia il castello; una strada medioevale acciottolata che attraversa il passo di Croce a Veglia e mette in comunicazione la valle della Pescia con la Val di Lima.

Pontito è dunque un paese che ripone gran parte della sua bellezza nelle sue stesse strutture, nelle decorazioni delle sue pietre, in tutto ciò che si trova immediatamente sotto gli occhi di chi lo va a visitare, ma anche i suoi monumenti meritano attenzione, e tra questi soprattutto la chiesa dei SS. Andrea e Lucia.

Costruita nella parte più elevata dell'abitato, essa, anche se a differenza di altre pievi della Valdinievole non possiede dei tesori d'arte di valore assoluto, è pur sempre un edificio antichissimo e di bella struttura. Ricordata già nel X secolo come suffraganea della pieve di Vellano, la chiesa passò poi nel pieviere di Castelvecchio e successivamente in quello di San Quirico, al quale è rimasta a lungo legata da obblighi speciali. Si tratta di una robusta costruzione in pietra serena che nel corso dei Secoli ha subito più di un intervento, dato che certamente quando fu costruita non aveva l'aspetto attuale, ma che tuttavia conserva ancora notevoli elementi della sua originaria severa struttura romanica, soprattutto nel lato a mezzogiorno.

La facciata, completamente rifatta, presenta sul lato destro una lapide posta a ricordo di Lazzaro Papi, cui tra l'altro è dedicato anche un busto collocato nella piazza d'accesso al paese. L'interno, spartito da colonne di pietra, è a tre navate, di cui quella di destra è di particolare interesse per la presenza sulla parete esterna di una arcata in pietra, decorata con motivi rinascimentali: formelle scolpite con i simboli dei quattro Evangelisti e decorate, nello spigolo del pilastro, da un cordonato e da un lastrone. Nel punto di attacco fra il pilastro e l'arco, c'è poi una cornice di foglie d'acanto a dentelli, mentre l'arco è decorato da un fregio a festone. L'arcata risale probabilmente ad un restauro della chiesa eseguito nel 1497; uno dei suoi capitelli, su cui sono scolpiti uno stemma e delle volute ioniche volgarizzate, reca infatti incisa questa data. Un altro capitello invece, che si trova vicino all'altare maggiore, risale addirittura al XII secolo, come si può chiaramente desumere dal carattere tipicamente romanico della testa scolpitavi sopra (e con tutta probabilità appartiene alla struttura della chiesa originale).

Molto belli sono ancora i due fonti battesimali, di cui uno, quattrocentesco, è databile tra il 1441 ed il 1497. Di forma quadrangolare, è scolpito a grandi rosoni e cinto da una corona d'alloro con cornucopie adorne di foglie d'acanto, arricchite da frutta sul lato sinistro e da due tortore su quello di destra; il motivo decorativo, molto bello, esaltato dalla pulitezza della pietra e lo fa situare alla fine del XV secolo (in ogni caso siamo sicuri che esso deve essere successivo al 1441, anno in cui fu permesso ad alcune chiese della zona, tra cui appunto quella di Pontito, di avere un fonte battesimale). L'altro fonte, anch'esso in pietra serena, è scolpito a forma di vasca e poggia su piedi leonini; probabilmente risale al secolo successivo, ma purtroppo il suo stato di conservazione non è buono.

Nel patrimonio artistico della chiesa poi ci sono due acquasantiere in pietra, molto antiche, che sembrano riferibili al XV secolo, mentre fra gli altari due meritano assolutamente di essere ricordati, anche perché con la loro elaboratezza contraddicono la scarna essenzialità della pietra: l'altare maggiore, molto ricco con i suoi marmi policromi, e quello della navata di destra, risalente alla fine del XVIII secolo, in stucco e marmo rosso, adornato con angeli e putti danzanti di gusto rococò. Infine va segnalato un leggio in ferro battuto, risalente al XV-XVI secolo, che merita di essere osservato per la strana particolarità che presenta di avere le zampe ornate a spina di pesce.

Passando ad esaminare i dipinti che arricchiscono la chiesa, va ricordato un affresco raffigurante il "Battesimo di Cristo", posto in una nicchia semicircolare sulla parete di sinistra, in prossimità dell'ingresso della chiesa, che è stato riportato alla luce durante un restauro eseguito nel 1957, e che presenta i caratteri tipici della scuola tardo-manieristica fiorentina.

Poi c'è una "Adorazione dei pastori" dipinta su tavola; opera di notevole fattura, essa risale alla fine del XVI - inizio del XVII secolo ed è eseguita da un ignoto artista toscano, che potrebbe appartenere alla cerchia di Sebastiano Vini. Da ricordare infine, due statue lignee dei santi patroni (Andrea e Lucia) restaurate a cura delle Belle Arti di Firenze. Uscendo dalla chiesa, bisogna assolutamente ricordare anche la massiccia torre campanaria, di impianto romanico, che è veramente molto bella, con la sua elegante bifora in pietra scolpita; dalla sua sommità si può abbracciare l'intera vallata con lo sguardo ed anche apprezzare compiutamente la struttura del paese.

Esistono ancora alcune tracce delle fortificazioni e delle quattro porte (rispettivamente chiamate: di sopra, di sotto, Michelina e Luca) per le quali una volta si accedeva al castello.

La rocca si trovava sopra la chiesa, nel punto più alto del colle ma ormai ne rimane solo qualche rudere, ed a stento se ne intravedono i resti delle tozze muraglie, erosi e sommersi dalla vegetazione.

Ed a proposito della rocca, è curioso sapere che gli abitanti del paese anticamente si difendevano dai nemici lanciando su di essi, dai suoi spalti dei grossi massi sferici che ancora oggi sono conservati ammucchiati in grandi gallerie sotterrane scavate all'interno del borgo. Le grosse palle di pietra venivano catapultate contro il nemico a gran velocità, e data anche l'altezza della rocca, il loro effetto era veramente devastante. Del vecchio palazzo dove risiedevano i commissari, invece, non resta più alcuna traccia; il suo posto è stato preso da una casa di civile abitazione, nel cui caminetto sembra però che ancora vi sia una pietra con antiche incisioni.

Sopra e sotto il paese, infine, ci sono due piccoli oratori, il primo dedicato alla Madonna delle Grazie e il secondo alla Madonna del Soccorso, di cui vale la pena di menzionare soltanto l'altare, settecentesco di quest'ultimo.

Quindi la visita dell'antico castello è interessante, e per più di un motivo, ma purtroppo, come dei resto abbiamo già accennato, una sopravvivenza di questo delizioso paese è molto problematico perché ormai il numero degli abitanti si è ridotto a meno di un centinaio, e la loro età media è superiore ai cinquanta anni; inoltre si tratta quasi esclusivamente di donne, tra cui moltissime vedove.

A Pontito non ci sono quasi più bambini, ma solo pensionati e lavoratori che sono tornati dall'America, dalla Germania, dalla Francia dal Belgio (ex minatori) ecc… a passare la vecchiaia nel loro paese natale. La terra stessa non è più lavorata; prima vi si coltivano squisite lenticchie che andavano giustamente famose, al pari dei fagioli di Sorana, fra le specialità alimentari della zona, ma che in pratica oggi non esistono più. Anche i prodotti legati al castagno, storica risorsa della zona, risentono dei tagli indiscriminati che i boschi hanno subito. Vi si trovavano, un tempo, maiali, polli, vacche, somari, e migliaia di pecore; oggi gli unici animali che si trovano in paese sono i cani randagi. Anche dal punto di vista delle tradizioni, Pontito vantava una notevole attività: veniva cantato il Maggio, ed i cantori portavano un ramo di faggio e facevano il giro delle case cantando e raccogliendo doni, finché a sera cenavano e donavano a loro volta al prete ciò che avanzava; si faceva la Gallinaiola (una gallina attaccata in aria da colpire col fucile caricato a palle) la domenica prima del carnevale; si festeggiava la Befana con la processione dei Befanotti che attraversava il paese cantando stornelli, raccogliendo doni da distribuire ai bambini del paese. Tradizioni, queste, che sono tutte scomparse dopo l'ultima guerra; a Pontito, è rimasto un Circolo Ricreativo. C'è un Ambulatorio (della locale Misericordia) con un medico generico che visita una volta alla settimana, mentre è chiuso da anni il consultorio pediatrico che era stato aperto negli anni cinquanta. Invece non ci sono più le Scuole Elementari, chiuse dal 1974, anno in cui vi si iscrissero solo due ragazzi, l'Ufficio Postale (chiuso definitivamente nell'ottobre 2001) e lo storico Bar/Alimentari il "Buco del Grillo" chiuso nel gennaio 2008. Proprio l'anzianità media degli abitanti fa pensare che sia impossibile ritornare alla popolazione ottocentesca (più di seicento anime). Pontito, ora, è vivo solo d'estate, quando alcuni proprietari di case vi tornano a villeggiare. Anche se, in questi ultimi anni, la tendenza sembra si stia invertendo, sono tornati ad abitarvi alcuni nuclei familiari giovani.